Spesso si usa la parola aspettativa, sia come sostantivo che come verbo, nella vita quotidiana come in quella professionale. Mi accorgo che nel lavoro mi capita di chiedere, in fase di selezione o di inizio di un corso di formazione, quali siano le aspettative delle persone che ho di fronte. Di solito per capire le motivazioni che giacciono sotto ad una scelta, e cosa vorrebbero trovare nella scelta fatta. Così come riflettendoci anche io stessa nutro delle aspettative, un po’ in tutti in campi della mia vita. Rimango in attesa che accada qualcosa.
Come mi è stato insegnato nella mia vita, l’etimologia dei termini aiuta a comprenderne meglio il significato e quindi anche ad utilizzarli con una certa coscienza. Quindi sono andata alla scoperta della radice etimologica della parola: dal vocabolario Treccani, l’atto, il fatto di aspettare, attesa: essere in a., stare in a., aspettare; è una posizione di attesa connessa ad una speranza. Speranza che qualcosa accada.
Ma non si può vivere di sole aspettative.
Mi rendo conto che potrebbe trattarsi di un post scritto come si suol dire di pancia, dove i pensieri sembrano sparsi e casuali, paiono uscire dai pori della pelle senza alcun controllo, come fa il sudore nelle giornate di afa creando anche un certo imbarazzo visivo (e olfattivo!!!). Invece mentre alzo gli occhi al cielo nel tentare di rammentare da quanto tempo io stia in realtà meditando, a mia stessa insaputa, questo post, mi rendo consapevole del fatto che sulle aspettative io ho sempre avuto un pensiero, chiaro o scuro, netto o lordo, puntuale o in perenne ritardo non so, ma presente.
Le aspettative hanno sempre fatto parte di me, del mio vocabolario, del mio zainetto, del mio progetto personale così come professionale, del mio modo di intendere e interpretare le relazioni. Ma mi sono accorta in questi ultimi anni, sicuramente complice l’età perché lo è sempre quando credi di stare diventando più saggia e matura, che avere aspettative (soprattutto intese nell’accezione di attesa e speranza statica) non solo non porta a niente, ma è estremamente paralizzante. Cerco di spiegarmi.
ASPETTA E SPERA
Aspettare che accada qualcosa, o che altri capiscano quello che senti o che provi, che comprendano il tuo disagio, che dicano le parole che vorresti uscissero dalla loro bocca e di cui avresti bisogno in quel momento, che capiti l’occasione giusta, che si realizzi un desiderio, che venga riconosciuto un merito o una fatica o un tempo dedicato e speso a favore di qualcosa, è aspettativa spesso e volentieri vana. Ma non tanto per il fatto che mai possa accadere quanto sperato, ma perché lo scarto tra attendere che accada e accadimento (o non accadimento) e di conseguenza investimento emotivo è davvero alto. Tanto più alto quando maggiore è la consapevolezza che l’attesa possa non portare a risultati né immediati né a breve termine.
Avere aspettative troppo alte o non aderenti con la realtà e il contesto nel quale si è, può determinare una inutile speranza di realizzazione e di conseguenza frustrazione.
Alla frustrazione si aggancia la delusione poiché gli eventi non vanno mai a finire come ce li siamo prefigurati.
L’intensità della delusione dipende da due fattori, ovvero dall’importanza di ciò che viene atteso e dal tempo che si passa ad attendere.
DALL’ATTENDERE AL PROVOCARE
Non si vive di sole aspettative, perché si tratterebbe di vivere sempre in una snervante attesa. Quello che posso dire di avere imparato nella mia vita è che occorre muoversi verso ciò che desideriamo, il nostro obiettivo. E’ un po’ come nelle relazioni affettive, se si aspetta che sia l’altro a fare la prima mossa (per paura, per cultura, per tradizione, per timidezza….), si può perdere un’occasione. Per questo bisognerebbe passare dall’attendere al provocare.
Se vogliamo davvero qualcosa dobbiamo conquistarcelo, a costo di fatica, sudore, impegno, e magari anche di insuccesso. Muoversi verso il proprio obiettivo non è detto che porti sempre al raggiungimento dello stesso, ma se non altro non potremmo dire a noi stessi di avere rimpianti per non averci provato!!!
Io credo che a volte rimanere nell’attesa sia una base sicura dalla quale non volersi staccare per non incappare nel naufragio di una disillusione. A volte capita di stare nel limbo perchè pensiamo che la frustrazione del non accadimento sia comunque minore alla tolleranza dell’aspettativa disattesa. Già è difficile attendere e sperare che accada qualcosa di importante per noi, figuriamoci tollerare che quello che volevamo accadesse non sia come da nostra aspettativa.
Voi che posizione avete rispetto alle aspettative? Attendete o provocate?
8 Comments
Ho imparato da tempo a non crearmi aspettative. Però è un atteggiamento che si matura con l’età, almeno per me è stato così e ti dirò che vivo meglio.
Giugno 28, 2017 at 9:19 am…gli anni che si accumulano sul groppone aiutano a vedere le cose in modo diverso…per me è stato lo stesso….un bacio!
Giugno 28, 2017 at 9:27 amIo con l’età sono diventata più battagliera, nel senso che se ho un progetto mi ci butto, a volte senza paracadute, e faccio anche dei gran tonfi. Ma non importa, non ho più voglia e forse tempo di aspettare immobile che le cose accadano.
Giugno 28, 2017 at 10:32 pmEh cara Luisa, mi sa che siamo fatte della stessa pasta…o ci avviciniamo alla stessa età!!!! 🙂
Luglio 3, 2017 at 12:52 pmanche io sono diventata più battagliera e nello stesso tempo mi dico che, se non combatto, forse dentro di me qualcosa ha deciso che non ne vale più la pena e mi oriento altrove….
Le aspettative ci sono, sempre, anche se a volte fingiamo che non sia così. Ma se si vuole raggiungere un obiettivo non ci si può fermare e lasciar fare al destino. Bisogna attivarsi e muoversi. Che poi la meta si raggiunga o meno quello è un altro discorso.
Giugno 29, 2017 at 4:21 pmGrazie Priscilla, si le aspettative fanno parte della vita. Dobbiamo solo decidere se aspettare o muoverci verso una loro possibile realizzazione o impossibilità i realizzazione….la meta alla fine non è l’unico obiettivo, no?
Luglio 3, 2017 at 12:53 pmCon un gioco di sensi e parole, vi racconto che io un’aspettativa l’ho presa…dal lavoro, di 6 mesi 3 dei quali li abbiamo spesi per un viaggio, con nostra figlia, da qui fino alla fine del mondo antico, in Portogallo.Per dire, soffermandosi sul post di Sara, che è essenziale muoversi verso i nostri sogni, i desideri, la libertà. Solo forzando un po’ le nostre abitudini e le nostre vite avremo nuove occasioni, incontri, meraviglie. Ecco perché, a metà dei primi anta, care amiche, mi è dolce provocare…
Luglio 1, 2017 at 2:37 pmQuando ci penso Simo al vostro coraggio, perchè anche di questo trattasi, non posso che provare un moto di invidia e di contentezza per quello che siete riusciti a ritagliarvi, attimi che non torneranno con la vostra cucciola. Non vedo l’ora di ascoltare il tuo racconto!!!!
Luglio 3, 2017 at 1:11 pm