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Dicembre 2018

    Esperienze

    Ho 44 anni e sono un cacomela

    E’ risaputo che la fine dell’anno è spesso un momento dedicato ai bilanci, a fare un check di quello che è stato l’anno trascorso e a pensare ai buoni propositi per l’anno che verrà. E’ un momento in cui si tirano le somme.

    Anche il compleanno è un giorno nel quale si riflette di massimi sistemi, di paradigmi esistenziali, si volta il capo indietro per vedere quanta strada è stata percorsa, si guarda innanzi per nuovi buoni propositi per il futuro. E’ un momento in cui si tirano le somme: chi sono? Cosa ho fatto? Cosa mi riserverà il domani?

    Quando fine dell’anno e compleanno combaciano o ti carichi a molla…o ti deprimi a manetta!!! Oppure senti di avere sempre più la natura di un cacomela e te ne freghi altamente.

    Quando arrivi a 40 anni senti dire da più parti che stai per entrare in una delle fasi più belle e interessanti della tua vita. Ed è stato vero, almeno per me.

    Entrare nella quarta decina dei propri anni significa entrare in pieno possesso della o delle proprie consapevolezze, sentirsi più sicuri di sè, prendere coscienza delle proprie possibilità e anche dei propri limiti..insomma per quanto mi riguarda significa diventare un cacomela.

    Mentre negli “enta” pensavo solo a dovermi definire, essere qualcosa o qualcuno di preciso, ero contenta quando per me esisteva un aggettivo qualificativo netto, ed era questo che mi dava una certa sicurezza, gli “anta” li vivo completamente in modo ribaltato. Da cacomela insomma.

    Il cacomela per sua natura è un incrocio tra caco e mela appunto, per cui è un ibrido. Può accontentare chi è ghiotto di entrambi i frutti, come del resto non accontentare nè gli uni nè gli altri. Insomma può piacere come no. L’idea di non poter e nè dover piacere a tutti è stata per me davvero una scoperta grandiosa. Forse per educazione, forse per carattere, ho sempre avuto un certo adattamento darwiniano alla (mia) sopravvivenza.

    Arrivare a 44 anni suonati oggi mi fa pensare con un certo realismo che non solo mi sento un cacomela, ma voglio anche esserlo. Per una come me non è stata una conquista facile nè scontata, ma un percorso, talvolta (spesso) faticoso. E sicuramente ci saranno ancora momenti nella mia vita in cui vorrò essere solo caco o solo mela per compiacere gli altri, ma scrivere nero su bianco questa nuova consapevolezza mi aiuterà a difendere la mia identità, consapevole che non si può nè si deve essere mangiati da tutti, perchè tutti hanno diritto di scegliere di cosa cibarsi. Come del resto io stessa ho diritto di scegliere se essere più caco o più mela a seconda di come mi sento, perchè dentro ho nature diverse.

    Sentirsi cacomela alla vigilia (perchè di fatto sono nata poco prima della mezzanotte) dei miei 44 anni è una forma di grande liberazione: da stereotipie ereditate, da stigmatizzazioni, da forme di coercizione. Porta con sè quella certa libertà che arriva solo con l’età, quella sorta di sensazione per la quale oggi posso dire e fare quello che voglio davvero. Senza troppa preoccupazione delle conseguenze sociali. Senza troppa preoccupazione di quello che potrebbero pensare gli altri.

    E’ un pò come dire: “Ehi gente, sapete che c’è? C’è che se anche a volte sono più caco, a volte più mela, a volte entrambe le cose, non cambia la sostanza. Sono ciò che nel corso di questi 44 anni avete conosciuto, che alcuni di voi amano follemente, altri decisamente meno, altri ancora cercano di decifrare, ma rimango sempre io“.

    E forse non è tanto l’effetto che si trasmette agli altri sentirsi cacomela, ma più la sensazione che risuona in se stessi: apre un grande nuovo spazio di possibilità. Era un po’ come quando da bambina ti dicevano: non puoi stare con due piedi in una scarpa, devi decidere chi vuoi essere.

    Oggi mi chiedo perchè.

    Oggi dico che forse la verità è che se si vuole davvero vedere come sono le persone, non si deve fare altro che guardare (“Wonder”).

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    Donne di Cuore

    DonneCuore: Canzone di una mamma per il suo bimbo

    Ti ho lasciato andare

    Anna è una donna di Cuore, di quelle persone che quando le incontri ti travolgono con la loro energia positiva, con la loro carica esplosiva e con il sorriso che spunta in ogni cosa fanno e in ogni parola dicono. Ma Anna è anche una donna che il cuore lo ha visto andare in frantumi, lo ha raccolto con delicatezza, lo ha ricucito pezzettino dopo pezzettino, lo ha ricollocato all’interno del proprio petto e ha fatto molto di più. Ha deciso di parlare al cuore delle altre mamme in primis che si trovano a vivere una situazione come quella che ha vissuto lei, e al cuore di tutte quelle persone che possono fare molto donando qualcosa a favore della ricerca. Quest’anno sono 10 anni esatti da quel momento, quello che ogni madre non si vorrebbe mai augurare di vivere, e Anna ha dato vita ad un nuovo immenso progetto.

    Andiamo con ordine.

    • Ciao Anna, tutto nasce esattamente 10 anni fa, quando hai dovuto salutare il tuo bimbo di 2 anni e mezzo a causa di una malattia. E’ da lì che ha preso forma il tuo impegno a favore della Onlus Noi per Loro di Parma e questo ultimo incredibile progetto?

    Sì, è stata la necessità di buttare fuori tutto quello che avevo dentro e farne qualcosa che potesse riuscire ad aiutare le mamme che si sono trovate o si trovano a dover perdere un figlio anche per una causa diversa dalla mia. E’ un progetto trasversale nato nell’ambito dei tumori infantili, ma che si puo’ benissimo applicare anche su altri fronti e a favore di altre cause ugualmente importanti.

    • Dove si trova la forza per trasformare il dolore in nuova energia?

    C’è un momento, il più terribile, quando capisci che non c’è più niente da fare, quando capisci che è arrivato il momento di salutarti, a quel punto hai una lucidità pazzesca, o è bianco o è nero, capisci che il miracolo che a te era stato destinato diventa la fine della sua sofferenza: e allora cominci a pregare che il Signore se lo prenda, così come te lo ha dato. Tenerlo per vederlo soffrire inutilmente sarebbe solo un tuo egoismo …. quindi decidi che il meglio per lui è lasciarlo andare ( da qui il titolo della canzone), al tuo dolore ci penserai dopo, in quel momento l’unico desiderio è che venga posto fine al suo di dolore.

    • Su chi hai potuto contare, oltre che su te stessa?

    Ovviamente sulla famiglia, ma non nel senso che mi dovevano stare vicino, la prima cosa che non volevo era dargli altro dolore facendomi vedere distrutta e inerme davanti alla perdita. Mio marito era lì con me, quindi il primo pensiero era non dare un altro dolore a mia madre, a lei che aveva provato lo stesso dolore con il suo primo figlio perso durante il parto: non poteva perdere anche me! E a tutti gli altri che comunque non avevano bisogno di altri pensieri. Poi il dolore lo considero un sentimento molto personale, è mio e non voglio mostrarlo ad altri che non possono e non sono costretti a capirlo.

    Ti ho lasciato andare

    • Chi ti incontra lungo la propria strada si sente trasportato dalla tua carica e dalla tua forza incredibile, e riconosce in te una donna che ha saputo guardare avanti pur senza dimenticare un solo secondo del passato. A cosa hai lavorato quest’anno proprio per lasciare un segno concreto della tua storia?

    La canzone che abbiamo registrato è il percorso che ho fatto, dalla consapevolezza della perdita, al vissuto non goduto, alla vita che deve per forza andare avanti col sorriso sul viso. Alla fine a te è stata lasciata questa vita e sarebbe un peccato sprecarla quando a tuo figlio è stata ingiustamente tolta.

    • Qual è il messaggio che vuoi dare ad altre mamme che come te hanno o stanno vivendo la tua esperienza?

    Proprio questo, di non sprecare la loro vita perché non sarebbe giusto nei confronti dei loro figli, certo sarà difficile, mooooolto difficile, ci sarà chi arriva subito a questa consapevolezza come me e chi invece necessiterà di tempo. L’importante è non sprecarla.

    • Cosa possiamo fare tutti noi per sostenere i tuoi progetti?

    Semplicemente seguirmi, tutto quello che faccio serve a raccogliere fondi per l’Associazione Noi per Loro Onlus di Parma che appoggia e sostiene il Reparto di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale dei Bambini di Parma, nato per aiutare le famiglie dei bambini malati, per cercare di fargli fare una vita normale durante le terapie, il loro motto è “Non tutto del Bambino malato è malato”, che vuol dire che alla malattia ci pensano i medici, l’Associazione deve pensare al resto, a fargli vivere una vita normale in un momento che di normale ha molto poco.

    Matteo Gelmini per Andrea

    Questo progetto “canoro”, che è possibile scaricare a partire dal 9 dicembre, è stato dato vita insieme ad altre due persone, Matteo Gelmini che ha scritto la musica e tradotto le parole di Anna nel testo e il cantante Daniele Benati, voce della band I Ridillo.

    Ogni click usato per scaricare la canzone, sarà un euro donato all’Associazione Noi per Loro e alla ricerca. Il brano è scaricabile da iTunes, Amazon Music, Spotify ed altre piattaforme musicali e video.

    Per conoscere più dettagli su questa incredibile ed emozionante storia potete leggere l’articolo uscito su Il Resto del Carlino Reggio.

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