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Educazione

Quando l’uomo, maschio, diventa nonno

nonni

Da Famiglia cristiana 1999

Che bella dimensione la nonnitudine! Quando senti parlare i nonni ti senti spesso dire come sia bello farlo: tenere i bimbi, viziarli coccolarli,  portarli a spasso, raccontare loro le storie della propria infanzia, insegnare loro a giocare al pallone o a fare il punto croce, sapere che poi ad un certo punto se ne tornano a casa loro… I nonni per fortuna che esistono e, non è superfluo ricordarlo, per fortuna che ci tengono i nostri figli quando siamo al lavoro, o abbiamo voglia di prenderci uno spazio solo per noi coppia di genitori (ecco, magari su questo punto direi che sono ancora decisamente migliorabili!!!!).

Ad ogni modo oggi mi vorrei concentrare sulla figura del nonno-maschio (e qui ci starebbe bene in sottofondo la musica di Quark!!!!).

Questo post mi è venuto in mente mentre riflettevo su un articolo che avevo letto diversi mesi or sono e che mi ero segnata in memoria perché mi aveva aperto un file che volevo provare ad approfondire sviluppando un post dedicato. L’articolo in questione prendeva a riferimento la nonnitudine, analizzandola come momento che coinvolge sia la coppia di genitori che appunto i nonni, tra gioie e conflitti, tra consigli e aiuti, tra modelli educativi anche differenti.

Io vorrei porre, tuttavia, l’attenzione sul nonno-maschio, esemplare brizzolato di mediamente 55 anni all’inizio della sua prima esperienza da nonno, considerando che l’età anagrafica delle mamme e dei papà adesso si aggira sui 28/30 anni circa per la prima gravidanza (poi ci sono chiaramente le dovute eccezioni). Il nonno-maschio diventa nonno quando ormai i vari figli sono praticamente usciti di casa e lui sta ancora lavorando e buona parte della sua giornata è impegnata fuori casa dall’attività lavorativa.

Tuttavia è in grado di comprendere questa nuova condizione familiare da alcuni impercettibili indizi:

  • quando esce di casa la casa è silenziosa, ordinata, tranquilla, mentre quando rientra è un caos incredibile;
  • la moglie non lo chiama più per nome, ma lo chiama perennemente nonno (anche in privato), tantè che anche lui ormai si presenta con: “Sono il nonno“;
  • il suo giornale preferito, quello che non avrebbe mai permesso a nessuno di sfogliare prima di lui, lo trova sminuzzato in giro per casa, accartocciato, scomposto nella forma, a causa dell’egemonia indiscussa di piccoli bipedi traballanti;
  • la probabilità di scivolare su biglie, giochi, baciolli, palle, pezzi di puzzle o di inciampare in qualsivoglia mezzo di locomozione a due o quattro ruote aumenta improvvisamente del 100%;
  • si ritrova senza nemmeno averne coscienza a quattro zampe per giocare con i nipoti o per fare il cavallo con loro (posizione abbandonata praticamente nel momento stesso in cui iniziò a camminare da bipede);
  • utilizza parole che nemmeno l’accademia della Crusca potrebbe avallare come neologismi degni di essere inseriti nel vocabolario, più simili ad una nuova lingua che a quella italiana;
  • si mette a giocare a calcio in casa e se il bambino rompe qualche soprammobile,  è lui stesso che nasconde tutto sotto il tappeto andandosene via fischiettando insieme al nipote;
  • diventa incredibilmente un “pappamolle”, abbandonando quell’atteggiamento autoritario-imperativo sempre utilizzato quando era solo un papà, accordando invece ai nipoti qualsivoglia desiderio, richiesta, o addirittura imposizione del nanerottolo che svolazza per aria il dito indice a mò di avvertimento;
  • ride, sempre, ad ogni minima faccetta, smorfia, parola, gnola del nipote, anche se non ci sarebbe nulla da ridere;
  • e per finire (ma solo perché sono mooooooooolto magnanima) vizia, sempre e comunque, spudoratamente, platealmente magari tacciandoti come madre insensibile, non comprensiva, autoritaria e troppo rigida nell’educazione di TUO figlio.

Ora, non entro (solo per questa volta) nel tema della suoceritudine (ma lo farò….oh se lo farò!!!!), e rimango su quella dell’esemplare maschile di nonno per fare alcune considerazioni sommarie, anche forse un po’ oltraggiose, ma tantè:

  • uomo-nonno=retrocessione all’età della pietra. Quando un uomo diventa un nonno fa un balzo spazio-temporale all’indietro di almeno 3 milioni di anni, sia dal punto di vista fisico (sono perennemente a 4 zampe) che intellettuale (il linguaggio non è ancora sviluppato e si esprimono a gesti, smorfie, faccette, parole disarticolate)
  • uomo-nonno=se il nipote è maschio si gioca a calcio dalla mattina alla sera, anche se il nonno in questione non ha mai giocato a calcio nella sua vita, oppure ha una sciatica invalidante, o rischia il colpo della strega al primo tiro in porta. Nulla, per i nipoti (maschi!!!) questo ed altro!
  • uomo-nonno=se il nipote è femmina si gioca con tazzine e bambole, lo ritrovi seduto sulla microseggiolina a sorseggiare un immaginario the con biscottini mugulando apprezzamenti che mai nemmeno ai manicaretti della moglie e magari con qualche mollettina tra i capelli, sempre che l’ultimo regalino non siano stati dei trucchi che allora..
  • uomo-nonno=tutto è consentito, che problema c’è? Se il nipote vuole uscire in canottiera con -20° può farlo perché tempra il fisico, se vuole strafogarsi di gelato o roba dolce può farlo perchè tanto che male fa, se vuole attraversare la strada senza guardare saranno le macchine a fermarsi al suo passaggio, no?????
  • Viziare diventa il verbo più utilizzato dall’uomo-nonno, come se fosse la cosa più naturale del mondo accondiscendere a qualunque richiesta (anche a quelle del tutto inespresse) del nipote!!! Se a noi figli non consentiva nulla, niente, nada, nisba a meno di battaglie e scontri epocali per avere anche solo il permesso di rientrare 5 minuti dopo, il nipote vince facile su tutto!!!!!
  • l’uomo-nonno è un esemplare di padre-seconda-chance e questa cosa è decisamente molto chiara per il nonno, perché si gioca questa carta fin dal primo vagito del nipote.

Quest’ultimo punto va chiarito bene, almeno per quello che può essere il punto di vista della sottoscritta, e di conseguenza l’esperienza. Quando un uomo, un maschio diventa nonno si aprono almeno tre strade dinnanzi a lui:

Nonnitudine

Nonnitudine

1) negazione, darsela a gambe, in senso figurato, non accettando la nuova condizione che tendenzialmente significa e comporta una sensazione di vecchiaia, di ammissione (per via dell’appellativo “nonno”) di senilità, di terza età.

2) accettazione e condivisione di questa nuova condizione, di attraversare una nuova tappa della propria vita, di ricoprire un nuovo status simbol sociale, di scorrazzare per strada con a mano una carrozzina, o in bici con un pupetto in adorazione per il nonno-che-concede-tutto-anche-senza-chiedere

3) riscatto, ossia opportunità intravista con la nonnitudine di poter interpretare la figura del padre, ruolo che per problemi soprattutto lavorativi non ha potuto esercitare a suo tempo, con i suoi figli. Ecco allora che qui l’uomo-nonno dà il meglio di sé, ossia è animato da buone intenzioni, da sentimenti nobili e da chiari propositi educativi, ma cade inesorabilmente nelle trappole sopra descritte, perché passi pure che voglia fare il padre, ma tutto sommato anagraficamente è nonno, e aumenta la percentuale di emotività e di tenerezza che si addice più alla terza età che alla seconda.

Tuttavia, prendiamo il post come pretesto per dichiarare apertamente, e con tutto il nostro affetto di figlie/nuore, che vi vogliamo molto bene cari uomini-nonni, perché senza di voi …..nemmeno questo post sarebbe stato partorito!!!!!!

firma_Sara

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